lauantaina, huhtikuuta 12, 2008
torstaina, marraskuuta 29, 2007
Facciamo finta che i Joy Division non mi piacciano, che non sappia chi è Corbijn e che non mi interessi minimamente di città dell'Inghilterra del Nord e di postpunk etc. etc. Facciamo finta, dicevo. Ecco, allora vado a vedere Control al cinema. Control è in bianco e nero e parla di un tipo che va a scuola e scrive poesie e si innamora della ragazza di un suo amico. Con la tipa vanno assieme a vedere Bowie, si innamorano e si sposano. Il tipo lavora al collocamento e comincia a suonare in un gruppo che si chiama Warsaw e che poi cambiano nome in Joy Division. Fanno qualche concerto, un tipo con gli occhiali diventa il loro manager, un tipo che ha un programma alla tele li fa suonare in studio e li ingaggia per la sua etichetta. Ha una figlia. La band comincia a suonare in giro, vanno a Londra e in tour in Europa e il tipo conosce una tipa che lavora all'ambasciata belga e si innamora di lei. Il tipo comincia anche a soffrire di epilessia, fuma beve e deve prendere le medicine. Ha una crisi con la moglie perché ha quest'altra tipa e la moglie se ne accorge. Il manager dice tutto contento che i Joy Division avranno un tour in America. Un giorno il tipo litiga ancora con la moglie, resta solo in casa, guarda un film di Herzog, ascolta un disco di Iggy, ha un attacco di epilessia e si impicca. Titoli di coda. Una storia abbastanza banale. Tutto succede così perché deve succedere e alla fine non si capisce bene perché il tipo si ammazza.
Mancano un po' di elementi per dire che Control è un film memorabile. Naturalmente il bianco e nero di Corbijn è fantastico, certe scene statiche sono eccellenti pose di fotografia, la musica suonata ricrea l'esperienza dal vivo in modo incredibilmente realistico, con il reverbero e i bassi che distorcono alla grande e i quattro ci danno dentro con foga. Gli attori hanno imparato a suonare per il film mi pare. L'ambientazione del film è molto minimale, molto mitteleuropea, non ci sono gli elementi stereotipati tipo 'kitchen sink meets little britain', tutto è molto sobrio, modernista e poco bitannico e questo è un ottimo merito del film. Non ci sono eccessi di orgoglio nordista, che ci sarebbero stati se il film fosse stato fatto da un regista mancuniano. L'attenzione per la storia è filologica, anche se c'è un errore nel mostrare il pubblico dei Sex Pistols alla Lesser Free Trade Hall che poga. Il pogo è arrivato qualche mese dopo grazie al Bromley Contingent e Sid Vicious. Al concerto dei Pistols i circa quaranta presenti erano seduti e abbastanza atterriti dalla spocchiosità londinese di Rotten. La colonna sonora ogni tanto lascia un po' perplessi. Ad esempio dopo che Ian dice a sua moglie che non l'ama più parte lovewilltearusapart, ce l'aspettavamo tutti, forse Corbijn poteva fare partire qualcos'altro. Sam Riley assomiglia molto a Ian Curtis sul palco, sembra che abbia lavorato molto al balletto spastico/nazi di Ian e al modo di cantare nel microfono etc. Fuori dal palco invece sembra una specie di Pete Doherty. La frase migliore del film è dopo il concerto di Derby. Dopo un attacco epilettico Ian si riprende e Rob Gretton gli fa qualcosa tipo 'Poteva andarti peggio. Guarda il cantante dei The Fall'.
perjantaina, lokakuuta 12, 2007
Il primo finesettimana qui sono stato ad una specie di rave mascherato da newmediameeting, dove ad un certo punto un dj ha messo girls and boys, così d’improvviso ed io ho ballato, ma non capivo se era una roba ironica o che cosa o il revival del britpop passa anche da questo.
Comunque il giovedì dopo (4.10) sono stato a vedere lekman. A vedere lekman eravamo in pochi, tipo 200 persone. Il palco era piccolino ed ingabbiato in una specie di recinzione.
Il posto (hugo), vicino alla stazione, era un cocktail bar di provincia, un posto dove the people from the country go to look like the people from the city. Insomma un bar lunghissimo pieno di bottiglie di absolut bling bling, poltrone basse, specchi, buttafuori giganteschi, illuminazione studiata. I ragazzini coi cardigans ed i cheapmondays sembravano dannatamente fuoriposto. Le ragazzine coi cardigans ed i cheap mondays anche.
Forse quello che sembrava meno fuoriposto ero giusto io. Magari qualcuno mi ha anche scambiato per uno che era lì sicuro che ci fosse qualche buddah bar lounge compilation in diffusione invece di un concerto di lekman.
Apre una tipa, promise and the monster, che ha una voce tipo le tipe islandesi ed arpeggia con la chitarra acustica. Un po’ noiosa, ma forse mi sbaglio e fra una settimana è la next big thing per pitchfork. Poi arriva jens e la sua banda di tipe e viktor con il laptop che sembra davvero felice, il miglior ingaggio che gli sia mai capitato. Da l’ultima volta che l’ho visto due anni fa in tour con gli hidden cameras, jens sembra leggermente meno magro e pallido ed ha un riporto assurdo. Non che io non abbia un riporto o che non tenti di mascherare la stempiatura in qualche modo, ma il riporto di lekman è qualcosa di terribilmente simile a quello di donald trump.
Il gruppo di ragazze sembra composto da persone che hanno imparato a suonare con quelle canzoni lì, che magari hanno dei numerini sui tasti degli strumenti che indicano dove suonare, a parte la bassista, che è la mia preferita per come tiene il palco. Si potrebbe disquisire a lungo sulle bassiste, ma tralascio.
Jens ha una epiphone sheraton II, la chitarra che mi vorrei comprare se avessi i soldi per poterlo fare e funkeggia alla grande. Mi ricordo che con gli hidden cameras aveva suonato praticamente tutto con l’ukulele, che poi ha venduto o regalato mi pare. È anche un grande chitarrista e si diverte un sacco.
Ascoltando il disco nuovo, avevo pensato molto a come sarebbe stato difficile riporporlo dal vivo, con tutti quei samples, ma funziona davvero bene. Naturalmente la sassofonista e la trombettista hanno un groove da banda di paese, più che da motown, ma quando il groove serve veramente, allora partono i loops dal laptop hp di viktor e tutto si risolve alla grande.
a metà higher power, che stavo passando trasportato come in una chiesa davanti a qualcosa di caravaggio, una tipetta con il cardigan, la frangetta ed i cheapmondays mi si piazza davanti e comincia a scattare foto con una enorme macchina fotografica. Mi guardo attorno e percepisco la presenza di almeno cinque ragazzine frangettate con il cardigan ed i cheapmondays che fanno foto a jenslekman con delle enormi macchine fotografiche. Immagino che forse una di loro lavora per il giornale di norrköping e che le altre siano semplicemente dipendenti da flickr.
Mi piace un sacco it was strange time of my life, perchè il testo è davvero qualcosa di geniale, per come comincia e per come dice silencio e per come dal vivo dispone il dito nella posizione until it's simple message could not be denied. La melodia poi è forse una delle melodie più belle che lekman abbia mai scritto.
Poi quando ero in bagno parte you are the light, con l'intro dell'eurovisione, poi ci sono a postcard to Nina, che Lekman introduce con un lungo monologo su Berlino, dove capisco solo che ha mangiato falafel e dove regala un altro, per me, highlight del disco, cioè la frase, yours truly, jens lekman.
Norrköping è famosa in svezia per essere il luogo con la maggior concentrazione di parrucchiere/i, ciò è dovuto alla presenza di una scuola per parrucchieri/e. Jens parla della sua parrucchiera preferita, Shirin, che ha un negozio da parrucchiera nel suo appartamento di Kortedala. Shirin è la seconda canzone più bella mai scritta su una parrucchiera (Hairdresser on fire la batte perchè ha il miglior ritornello del mondo, so busy – busy busy – busy busy oh ooh oh ooh).
Poi c’è anche Friday night at the drive-in bingo, la canzone che spiega tutto quello che si dovrebbe sapere sul nord Europa e sui posti come Norrköping
there's a cow and an ostridge - just waiting for you
perjantaina, syyskuuta 21, 2007
Tunnisteet: the sininen
maanantaina, elokuuta 13, 2007
20 febbraio 1950 - 10 agosto 2007
r.i.p.
Tunnisteet: tony wilson
keskiviikkona, heinäkuuta 25, 2007
tiistaina, heinäkuuta 17, 2007
What indie means to me
Non era punk nemmeno suonare in discoteca. I punk odiavano la discomusic. Nel mio ultimo periodo da giovane di provincia, i punk odiavano i gabber. Qualcuno adesso dice che la discomusic ha rivoluzionato l’industria musicale e la vita culturale molto più del punk e forse è vero.
Per quanto riguarda l’abbigliamento: beh, se eri un disadattato sociale o se avevi molti soldi, probabilmente ti vestivi da punk, avevi gli anfibi, avevi il chiodo con le borchie e con dietro scritto ‘discharge’ e avevi in testa alcune parti rasate ed alcune lunghe e magari ti tingevi i capelli. Se invece andavi a scuola, oppure ascoltavi i fugazi, gli hüsker dü, i kina, gli smiths, gli housemartins etc. allora ti vestivi normalmente, magari avevi le allstar, magari avevi un buco fatto con un cacciavite nei jeans, magari avevi i capelli lunghi, magari avevi una maglietta della dischord che mettevi ai concerti, magari avevi gli occhiali e la riga da una parte e una polo blu. Quelli che si vestivano normalmente si spacciavano per punk etici e guardavano dall’alto in basso quelli con la cresta, che erano definiti come punk estetici. Etica ed estetica. Estetica ed etica. Questo è un problema prettamente italiano e non ho idea da cosa derivi. C’erano i fascisti etici e quelli estetici, i sessantottardi estetici ed i sessantottardi etici, i paninari etici ed i paninari estetici etc. etc. Forse deriva dalla teatralità italica, dal fatto che il modo in cui ci si veste in Italia è piú importante che in altre parti del mondo.
Comunque ultimamente, in relazione a questo (inkiostro e raina), questo (reverberi) e questo (polaroid e a classic education), si è cominciato a parlare di indie. Cosa è indie, cosa non è indie. E mi pare che il discorso indie, sia molto simile al discorso punk di più o meno quindici (QUINDICI? VENTI?) anni fa.
Indie è un’abbreviazione di indipendente. Si comincia a parlare di indie nel gennaio del 1977, quando un gruppo di manchester, i buzzcocks, folgorati da un concerto dei sex pistols organizzato da loro, chiedono un prestito a qualche parente e registrano un sette pollici, che chiamano spiral scratch con l’aiuto di martin hannett. Lo fanno stampare in qualche centinaio di vinili, poi si fanno una foto con una polaroid in piazza e la usano per la copertina. Sul disco, nel posto dove normalmente c’è il logo di un etichetta, scrivono ‘new hormones’, creando così la prima etichetta indie. Creano la prima etichetta indie, ma non la prima etichetta indipendente. Già da anni infatti, alcuni gruppi si autoproducevano per vendere i dischi ai concerti o per regalarli agli amici o per far contente le figlie (The Shaggs). Inolte esistevano già centinaia di etichette indipendenti, che, però, al contrario della new hormones, erano gestite in maniera molto simile, se non in maniera peggiore, delle multinazionali.
I buzzcocks avevano inventato l’indie, cercando di copiare i sex pistols. Le etichette indie cominciano a nascere, una dopo l’altra, in tutto il regno unito. La factory a manchester produce i dischi dei joy division, a londra la rough trade produce un sacco di roba, tra cui gli smiths, la mute comincia a lavorare con i depeche mode, mi pare. Poco dopo la creation inventa lo shoegazing. Sono tutte etichette indipendenti, i profitti sono pochi, le forme di protezione dei diritti d’autore variano, ma si mantegono su profili socialisti-comunisteggianti, in cui autore, distributore, produttore, esecutore, manager ricevono più o meno equamente.
La stampa musicale e la radio cominciano ad utilizzare due tipi di classifiche: una ‘ufficiale’, con i dischi prodotti da multinazionali ed una ‘indipendente’, con i dischi prodotti dalle etichette discografiche indie. La confusione comincia quando alcune etichette indie, investite dal successo o, al contrario, in preda a problemi finanziari, lasciano distribuire i loro prodotti da canali di distribuzione utilizzati normalmente dalle multinazionali, o peggio, cominciano a vendere il loro catalogo alle multinazionali. Due esempi importanti sono la one little indian, fondata dagli anarco punk crass e flux of pink indians, che producono il debutto di björk e grazie al suo successo cominciano a collaborare con la polygram e la creation, fondata da alan mc gee, che vende il catalogo dell’etichetta alla sony. Alcune multinazionali addirittura, inventano delle sub-divisioni finto ‘indipendenti’.
indie comincia quindi ad essere inteso non più come una pratica di produzione culturale con alcuni chiari segni distintivi (autogestione, produzione e distribuzione indipendente, libertà assoluta nella produzione, condivisione dei profitti...) e diventa un genere. Come si definisce il genere indie? Beh questo è un problema non indifferente.
Di sicuro il genere indie è contraddistinto dalle melodie. Le melodie sono importanti per l’indie. Una volta lo strumento indie per eccellenza era la chitarra, che era suonata quasi sempre come se fosse un’acustica, anche se magari era superdistorta con il pedale ratt. Poi, se uno era bravo ed aveva a casa dei dischi dei byrds, arpeggiava, faceva jingle jangle. Per suonare il basso indie bastava avere un dito nella mano sinistra e due nella mano destra (o viceversa nel caso dei mancini). I batteristi indie suonavano 4/4 oppure suonavano come il batterista del muppet show. Poi è arrivata l’indietronica ed allora tutti hanno cominciato a fare indie, ma col portatile e con qualche software. Normalmente sul portatile è disegnata una mela. Poi le due cose si sono mischiate. In ogni caso il ruolo più importante per l’indie è quello del cantante. Il cantante distingue un buon gruppo indie da un non buon gruppo indie. L’immaginario dei testi indie è sempre stato abbastanza semplice: un misto di infantilismo, teenage angst, amori non corrisposti e imparare a convivere con la timidezza.
Ah, poi c’é il discorso etica/estetica. Cosa è indie? Qualcuno in qualche post ha nominato i cheap monday, che sono dei jeans scuri, attillati, che hanno un teschietto disegnato su quel pezzo di pelle dove c’è la marca, dove passa la cintura. Non posseggo i cheap monday, perchè dovrei pesare 20 chili per poterli indossare e poi, come tutto ciò che è indie ultimamente, costano troppo. Comunque i cheap monday sono pantaloni indie, perchè significano indie.
Se intendiamo il significato come qualcosa che si crea attraverso l’uso, allora il fatto che la maggior parte della gente considera i pantaloni blue monday dei pantaloni indie, questo li rende indie. É puramente ideologico distinguere etica ed estetica indie. Etica ed estetica indie, così come etica ed estetica punk, così come etica ed estetica paninara sono determinate dall’uso che si fa di essi.
(forse continua, devo ancora parlare di 120minutes, dei nirvana, delle vacanze studio in inghilterra, delle indie-disco, di autoproduzioni, di vestiti a pois, di polo fred perry, di vestiti usati, del moz, delle cassette, di shoegazing, delle camerette e poi c'è tutto il presente: la svezia, myspace, la cuteness, la geekness...)Tunnisteet: indie
tiistaina, kesäkuuta 05, 2007
torstaina, toukokuuta 31, 2007
ecco qui il nostro primo singolo:
Le coeur gros
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Tunnisteet: finland, helsinki, thesininen
perjantaina, maaliskuuta 09, 2007
qui potete scaricarvi la mia ultima mini-produzione accademica dal saccente titolo:
'Pop Music, Cultural Sensibilities and Places: Manchester 1976–1997'
maanantaina, maaliskuuta 05, 2007
tiistaina, helmikuuta 20, 2007
La prima cosa che mi viene in mente guardando il mixer (6 canali - digitale) è la curva per l’equalizzazione utilizzata da Martin Hannett. In pratica Hannett mixando non so se Buzzcocks o Joy Division o Happy Mondays, regolava le levette dell’equalizzazione secondo il contorno della sua pancia. Purtroppo non ho ancora una pancia del genere e quindi l’opzione di emulare Hamnett non funziona.
Sono stato reclutato per stare al mixer per una serata indie dove suonano pintandwefall e catsonfire.
I catsonfire arrivano e hanno in una mano le custodie degli strumenti e nell’altra le scarpe da palco. Le scarpe da palco sono quelle superlucide da oxford, quelle che si usano per giocare a golf, quelle coi puntini sulla punta. Venendo della costa occidentale della Finlandia, sono di madrelingua svedese, continuano a parlare un po’ in svedese ed un po’ in finlandese ed io ci parlo in inglese. Il cantante si dimostra il più loquace, assieme al batterista ed al tastierista (un tipo col mascara, reclutato per il nuovo tour, soprattutto per fare il riff di smell of an artist, dove mi pregano di sparare il sintetizzatore a volume assurdo). chitarrista e bassista invece (citando brecht) stanno in silenzio in due lingue.
La loro prova del suono è veloce, accennano i pezzi di ‘The Province complains’, non fanno tante scene, anche perchè capiscono la mia evidente incapacità. Poi portano dentro un cartone, lo aprono e vedo le prime copie del disco, solita grafica superstilosa, libretto con i testi ed un’interessante introduzione alla vita finlandese, all’uso del caffè durante la seconda guerra mondiale ed alla pratica di ritirarsi per qualche giorno nelle case di campagna. Rimango basito dal fatto che scrivendo di caffè alla cicoria e del glorioso Saludo, non utilizzino nemmeno una volta il termine Ersatz. Penso che scriverò loro una lettera a proposito.
Comunque il gruppo spalla, che si accinge al soundcheck per secondo, sono quattro ragazzine che avranno forse diciotto anni, che sparano un garage rock eccezionale, grande presenza sul palco, maschere da zorro e ottimo senso dell’umorismo. Ho qualche difficoltà ad amplificare il glockenspiel ed il flauto di plastica, ma va bene lo stesso. Il loro live dimostra che le tipe sono eccezionali. Saranno famose.
I catsonfire sono il miglior gruppo che ho visto in Finlandia, sono davvero eccezionali. I pezzi del nuovo disco sono meravigliosi, alcuni suonano terribilmente retrò, come i primi gruppi di swing che suonavano sui traghetti da turku a stoccolma, prima che la cosa degenerasse con l’evolversi dei costumi. Insomma in maniera molto simile agli Smiths, riprendono il manierismo degli anni trenta, delle prime sale da ballo, aggiungono un po’ di suono della classe lavoratrice degli anni cinquanta e sessanta e condiscono il tutto con la new wave. Verso la fine fanno una cover di un pezzo iskelmä in finlandese e poi, senza ironia, concludono con ‘I will stay’, ballatona degli Hurriganes. Gli Hurriganes sono stati il più grande gruppo rock finlandese, un trio alla Cream/JimiHendrixExperience, con un inglese alquanto approssimativo, che riempiva gli stadi di hockey di tutto il paese negli anni settanta. ‘I will stay’ è il megalentone finlandese, è quasi come ‘night in white satin’ suonata in un lunapark di Blackpool. Andate a vederli, quando suonano a Modena.
torstaina, helmikuuta 01, 2007
ecco a voi una recensione in ceco di 'Nevermind the Blossoms' dove si dice che interflug fa musica carina, anche se non originale.
grazie a Enver por il link e a Pavel, autore della recensione, per la traduzione
torstaina, joulukuuta 21, 2006
Il disco del 2006 è ‘Ringleader of the tormentors’ di Morrissey. Non l’ho ascoltato tantissimo, dopo le prime tre settimane di ascolti ininterrotti, ma non ho ascoltato nient’altro per così a lungo quest’anno. The Long Blondes mi ricordano i primi demo dei Kech (che sono il mio gruppo italiano preferito, anche nel 2006).
Il live del 2006 è quello del Moz al Ruisrock Festival di Turku, poche ore prima della finale dei mondiali, dove himself ha anticipato la vittoria italiana. A pensarci bene a quel festival, tra il pubblico c’erano anche i Cats on Fire, vesititi come boy-scouts e con i ray-ban anni ottanta, che cantavano tutto a memoria con i pugni che roteavano gladioli immaginari.