Interflug

tiistaina, heinäkuuta 17, 2007

What indie means to me

Qualche anno fa (quindici?), su nessuno schema (o era abbestia?), comunque una fanzine di carta, qualcuno (sandrink? pomini?ciotti?) aveva domandato a una decina di influenti fanzinari, musici, distributori indipendenti, rappresentanti di collettivi, cosa fosse il punk per loro.

Il punk era una cosa che una volta si suonava, si era, si viveva, se ne parlava. Era anche una discriminante: certe cose erano punk, certe altre non lo erano. Ad esempio, se facevi un disco, il disco non doveva avere un bollino siae. Normalmente il bollino siae lo dovevi mettere per forza, altrimenti non ti stampavano il disco/ la cassetta. Qualche gruppo HC riusciva a trovare un tipo che stampava dischi senza il bollino siae, ‘in nero’ in pratica. Comunue il bollino siae non voleva dire che avevi messo il copyright alle canzoni (per mettere il copyright alle canzoni, bisogna fare un casino di pratiche, mi pare, e pure pagare qualcosa), significa soltanto che hai pagato una tal tassa, che ti permette di distribuire in giro il tuo disco. Però questa cosa del bollino siae (che una volta era un timbro ed andava via dopo un po’, ma poi è diventato un adesivo, piuttosto grande, soprattutto se messo su una cassetta) non era punk.

Non era punk nemmeno suonare in discoteca. I punk odiavano la discomusic. Nel mio ultimo periodo da giovane di provincia, i punk odiavano i gabber. Qualcuno adesso dice che la discomusic ha rivoluzionato l’industria musicale e la vita culturale molto più del punk e forse è vero.

Per quanto riguarda l’abbigliamento: beh, se eri un disadattato sociale o se avevi molti soldi, probabilmente ti vestivi da punk, avevi gli anfibi, avevi il chiodo con le borchie e con dietro scritto ‘discharge’ e avevi in testa alcune parti rasate ed alcune lunghe e magari ti tingevi i capelli. Se invece andavi a scuola, oppure ascoltavi i fugazi, gli hüsker dü, i kina, gli smiths, gli housemartins etc. allora ti vestivi normalmente, magari avevi le allstar, magari avevi un buco fatto con un cacciavite nei jeans, magari avevi i capelli lunghi, magari avevi una maglietta della dischord che mettevi ai concerti, magari avevi gli occhiali e la riga da una parte e una polo blu. Quelli che si vestivano normalmente si spacciavano per punk etici e guardavano dall’alto in basso quelli con la cresta, che erano definiti come punk estetici. Etica ed estetica. Estetica ed etica. Questo è un problema prettamente italiano e non ho idea da cosa derivi. C’erano i fascisti etici e quelli estetici, i sessantottardi estetici ed i sessantottardi etici, i paninari etici ed i paninari estetici etc. etc. Forse deriva dalla teatralità italica, dal fatto che il modo in cui ci si veste in Italia è piú importante che in altre parti del mondo.

Comunque ultimamente, in relazione a questo (inkiostro e raina), questo (reverberi) e questo (polaroid e a classic education), si è cominciato a parlare di indie. Cosa è indie, cosa non è indie. E mi pare che il discorso indie, sia molto simile al discorso punk di più o meno quindici (QUINDICI? VENTI?) anni fa.

Indie è un’abbreviazione di indipendente. Si comincia a parlare di indie nel gennaio del 1977, quando un gruppo di manchester, i buzzcocks, folgorati da un concerto dei sex pistols organizzato da loro, chiedono un prestito a qualche parente e registrano un sette pollici, che chiamano spiral scratch con l’aiuto di martin hannett. Lo fanno stampare in qualche centinaio di vinili, poi si fanno una foto con una polaroid in piazza e la usano per la copertina. Sul disco, nel posto dove normalmente c’è il logo di un etichetta, scrivono ‘new hormones’, creando così la prima etichetta indie. Creano la prima etichetta indie, ma non la prima etichetta indipendente. Già da anni infatti, alcuni gruppi si autoproducevano per vendere i dischi ai concerti o per regalarli agli amici o per far contente le figlie (The Shaggs). Inolte esistevano già centinaia di etichette indipendenti, che, però, al contrario della new hormones, erano gestite in maniera molto simile, se non in maniera peggiore, delle multinazionali.

I buzzcocks avevano inventato l’indie, cercando di copiare i sex pistols. Le etichette indie cominciano a nascere, una dopo l’altra, in tutto il regno unito. La factory a manchester produce i dischi dei joy division, a londra la rough trade produce un sacco di roba, tra cui gli smiths, la mute comincia a lavorare con i depeche mode, mi pare. Poco dopo la creation inventa lo shoegazing. Sono tutte etichette indipendenti, i profitti sono pochi, le forme di protezione dei diritti d’autore variano, ma si mantegono su profili socialisti-comunisteggianti, in cui autore, distributore, produttore, esecutore, manager ricevono più o meno equamente.

La stampa musicale e la radio cominciano ad utilizzare due tipi di classifiche: una ‘ufficiale’, con i dischi prodotti da multinazionali ed una ‘indipendente’, con i dischi prodotti dalle etichette discografiche indie. La confusione comincia quando alcune etichette indie, investite dal successo o, al contrario, in preda a problemi finanziari, lasciano distribuire i loro prodotti da canali di distribuzione utilizzati normalmente dalle multinazionali, o peggio, cominciano a vendere il loro catalogo alle multinazionali. Due esempi importanti sono la one little indian, fondata dagli anarco punk crass e flux of pink indians, che producono il debutto di björk e grazie al suo successo cominciano a collaborare con la polygram e la creation, fondata da alan mc gee, che vende il catalogo dell’etichetta alla sony. Alcune multinazionali addirittura, inventano delle sub-divisioni finto ‘indipendenti’.

indie comincia quindi ad essere inteso non più come una pratica di produzione culturale con alcuni chiari segni distintivi (autogestione, produzione e distribuzione indipendente, libertà assoluta nella produzione, condivisione dei profitti...) e diventa un genere. Come si definisce il genere indie? Beh questo è un problema non indifferente.

Di sicuro il genere indie è contraddistinto dalle melodie. Le melodie sono importanti per l’indie. Una volta lo strumento indie per eccellenza era la chitarra, che era suonata quasi sempre come se fosse un’acustica, anche se magari era superdistorta con il pedale ratt. Poi, se uno era bravo ed aveva a casa dei dischi dei byrds, arpeggiava, faceva jingle jangle. Per suonare il basso indie bastava avere un dito nella mano sinistra e due nella mano destra (o viceversa nel caso dei mancini). I batteristi indie suonavano 4/4 oppure suonavano come il batterista del muppet show. Poi è arrivata l’indietronica ed allora tutti hanno cominciato a fare indie, ma col portatile e con qualche software. Normalmente sul portatile è disegnata una mela. Poi le due cose si sono mischiate. In ogni caso il ruolo più importante per l’indie è quello del cantante. Il cantante distingue un buon gruppo indie da un non buon gruppo indie. L’immaginario dei testi indie è sempre stato abbastanza semplice: un misto di infantilismo, teenage angst, amori non corrisposti e imparare a convivere con la timidezza.

Ah, poi c’é il discorso etica/estetica. Cosa è indie? Qualcuno in qualche post ha nominato i cheap monday, che sono dei jeans scuri, attillati, che hanno un teschietto disegnato su quel pezzo di pelle dove c’è la marca, dove passa la cintura. Non posseggo i cheap monday, perchè dovrei pesare 20 chili per poterli indossare e poi, come tutto ciò che è indie ultimamente, costano troppo. Comunque i cheap monday sono pantaloni indie, perchè significano indie.

Se intendiamo il significato come qualcosa che si crea attraverso l’uso, allora il fatto che la maggior parte della gente considera i pantaloni blue monday dei pantaloni indie, questo li rende indie. É puramente ideologico distinguere etica ed estetica indie. Etica ed estetica indie, così come etica ed estetica punk, così come etica ed estetica paninara sono determinate dall’uso che si fa di essi.

(forse continua, devo ancora parlare di 120minutes, dei nirvana, delle vacanze studio in inghilterra, delle indie-disco, di autoproduzioni, di vestiti a pois, di polo fred perry, di vestiti usati, del moz, delle cassette, di shoegazing, delle camerette e poi c'è tutto il presente: la svezia, myspace, la cuteness, la geekness...)



Tunnisteet:

1 Comments:

  • non so dove mettere nome o email nel commento poichè la pagina è scritta in una lingua strana, ma ad ogni modo ci tenevo a farti i complimenti per ciò che hai scritto! e spero che molta gente legga tutto ciò, nella speranza che molta gente apra gli occhi, iniziando ad ascoltare la musica per ciò che suscita dentro, e non per ciò che ti fa sembrare agli occhi degli altri. complimenti ancora !

    By Anonymous Anonyymi, at 5:11 ap., toukokuuta 03, 2010  

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